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UNA TECNICA PER RICORDARE INSIEME
di/by francesco.michi

Cito da "UNDERWORLD" di Don Delillo

Prima in inglese e poi nella traduzione di Delfina Vezzoli. Edizioni Einaudi, p.106

I sat with my mother in her room and we talked and paused and watched TV We paused to remember. One of us said something that roused a memory and we sat together thinking back.
My mother had a method of documentary recall. She brought forth names and events and let them hang in the air without attaching pleasure or regret. Sometimes just a word. She spoke a word or phrase that referred to something I hadn't thought about in decades. She was confident in her recall, moving through the past with a sureness she could not manage to apply to the current moment or hour or day of the week. She made fun of herself. What day is it? Do I go to mass today or tomorrow? I drove her to mass and picked her up. This was the steadiest satisfaction of my week. I learned the mass schedule and the types of mass and the length of service and I made sure she had money for the basket. We sat in the room and talked. She seemed untouched by sentiment. She'd summon a moment that struck me with enormous force, any moment, something ordinary but bearing power with it-
ordinary only if you haven't lived it, if you weren't there-and I saw how still she sat, how prudent she was in her recollecting.
I used to tell my kids when they were small. A hawser is a rope that's used to moor a ship. Or, The hump in the floor between rooms, I used to say This is called the saddle.
We set her up with the dresser and the air conditioner and a hard mattress that was good for her back. She brought forth names from the family passional, the book of special suffering, and we paused and thought.


Andavo a sedermi con mia madre nella sua stanza e parlavamo, tacevamo e guardavamo la tv. Tacevamo per ricordare. Uno di noi diceva qualcosa che suscitava un ricordo e stavamo seduti insieme a ripensarci.
Mia madre applicava il metodo del ricordo documentario. Buttava lì nomi e avvenimenti e li lasciava aleggiare nell'aria senza connotazioni di piacere o di rimpianto. A volte soltanto una parola. Pronunciava una parola o una frase che mi rimandava a qual-cosa a cui non pensavo da decenni. Era sicura di sé nel ricordo, si muoveva nel passato con una disinvoltura che non era capace di applicare al momento presente o all'ora o al giorno della settimana. Ci scherzava sopra. Che giorno è ? Ci vado oggi o domani a messa? L'accompagnavo a messa in macchina e poi andavo a riprenderla. Era la soddisfazione più stabile della settimana. Impa-rai gli orari delle messe, i tipi di messa e la lunghezza delle funzioni e mi assicurai che avesse gli spiccioli per l'offerta. Stavamo seduti in camera sua a parlare. Lei sembrava immune al sentimento. Capitava che evocasse un momento che mi colpiva con forza inusitata, un momento qualsiasi, una cosa ordinaria ma carica di potere - ordinaria soltanto se uno non l'aveva vissuta, se non era stato presente - e la vedevo restare immobile, vedevo quanto fosse prudente nella sua rievocazione.
Dicevo sempre ai miei bambini quando erano piccoli. Una cima è una corda che si usa per ormeggiare una barca. Oppure, il rialzo nel pavimento tra una stanza e l'altra, dicevo, si chiama soglia.
L'avevamo sistemata con il cassettone, l'aria condizionata e un materasso duro che le faceva bene alla schiena. Buttava lì nomi ripescati dal passionario familiare, il libro delle sofferenze speciali, e restavamo in silenzio a pensare.



 


 
 

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