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calvin
il 21.9.2005



memory padre/father
calcio e democrazia



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riferimento temporale/time reference : 1965 circa


facciamo le "madri"

1965 più o meno
Fino a poco prima, noi ragazzi, giocavamo a soldatini, indiani e co-boi, costruivamo archi e frecce, fionde (o “strombole” come le chiamavano) con le gomme delle biciclette ritagliate a strisce, caccia alle lucertole, ecc.
Ad un certo punto questi giochi …..puff…..spariti.
Era apparsa una “cosa” tonda, rimbalzante, croce e delizia degli anni futuri , perlomeno fino alla scoperta delle ragazze e per un po' anche dopo.
Insomma: il pallone. Il calcio. Il futboll
Gli inizi per me furono una vera e propria sofferenza. Ma mi piaceva troppo e poi tutti i miei amici ci giocavano ed era quasi obbligo farlo .
Lì,sul campo, cominciammo a vedere le prime vere differenze di classe.
Niente a che vedere con ricchezza e nobiltà.
Una differenza di “classe” calcistica: saper “trattare la palla”, farla andare dove vuoi tu. Insomma tutta quella retorica calcistica che chi ha giocato a pallone, o lo ha seguito un poco, conosce bene.
Io, in quel gioco nuovo, non ero, almeno all’inizio, nella classe aristocratica.
Facevo parte della plebe.
Non me ne accorsi subito. Ma quando me ne accorsi ci rimasi così male che quasi ci piangevo.

Successe così:
Ogni volta che un gruppo di ragazzi decideva di giocare a pallone si doveva fare le “madri”.
Non so perché si chiamassero così. E una di quelle parole che apprendi così, acriticamente, senza domandarti il perché si dicesse così.
Ancora oggi è un mistero.
Erano le “madri” e basta.
Le “madri” erano una maniera di fare le squadre, quasi un rito sacro, in cui due prescelti ( di solito i migliori) facendo pari e dispari, cominciavano a scegliere, a turno, i componenti della propria squadra.
Naturalmente scegliendo a turno venivano scelti per primi i migliori e dopo, via via, i rimanenti, cioè gli scarti ( la plebe).
Io venivo scelto sempre fra i primi e la cosa un po’ mi inorgogliva, un po’ mi dava da pensare perché non era che fossi così bravo.
La scoperta dell’arcano avvenne presto e ci rimasi maluccio:

si giocava con le scarpe che avevamo, scarpe di tutti i giorni ( non era certo pensabile, a quei tempi, pensare di comprare “scarpette da gioco”),e io avevo sempre ai piedi degli scarponcelli, autentici carrarmati, tipo anfibi, che mia madre mi imponeva perché più resistenti all’usura.
Giocarci era pesante per me, ma soprattutto lo era per chi mi veniva sotto, dato che le pedate ( e io ne davo tante), tirate con quegli attrezzi ai piedi, erano delle vere e proprie bordate che lasciavano dei bei segni sulle gambe.
Insomma alla fine capii (o forse me lo dissero brutalmente), che mi sceglievano per primo non perché fossi un fuoriclasse come sognavo( chi non lo sognava?), ma perché era meglio, per le proprie gambe, avermi in squadra piuttosto che come avversario.
Fu un bel colpo!
Da quel giorno fare le "madri" era per me diventato un momento di profonda umiliazione.
Ci sono voluti anni per riprendersi e riassaporare la soddisfazione di essere scelto fra i primi, non per le scarpe che avevo ai piedi, ma perché finalmente cooptato nella classe eletta.

E’ passato tanto tempo e ogni tanto ripenso a quando si facevano “le madri” e come in quelle occasioni
alla mia autostima capitasse di scendere parecchio in basso.
Al livello di quegli scarponi maledetti.





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