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Libero
il 15.11.2005



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Mandingo
memories figli/sons
Guardando la vita degli altri...



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riferimento temporale/time reference : 1994 novembre


al buio

Salì di pessimo umore fino alla camera che gli era stata assegnata, col suo sacco a pelo sottobraccio e la borsa in mano. La casa, molto bella e molto grande, era anche molto gelida. C'era di fronte alla porta un lettone a due piazze e, sulla stessa parete da cui si entrava, un divano-letto. Dice di non ricordarsi più come fu che la Viola capitasse lì, con lui e Rolando, ma sul momento pensò che avesse accettato solo perché erano in tre: un numero troppo alto per fare le cosacce, almeno in quella situazione. Ci fu un attimo di imbarazzo su come distribuirsi, poi Rolando, con impeto da casto boy-scout si sistemò rudemente sul divano-letto e lui e Viola occuparono il lettone, infagottati ermeticamente nei loro sacchi a pelo con tanto di coperte supplementari.
Viola era una ragazzina apparente, nel senso che dimostrava molto meno dei suoi ventisette anni; la prima immagine che arrivava di lei erano i capelli: una massa dorata e talmente ricciola da essere quasi crespa. Erano così tanti che ancora, quando ci pensa, si chiede con invidia cosa deve provare un cranio ad essere protetto da tutta quella roba. Aveva gli occhi chiari, Viola, il naso a punta, le gote rosa, la voce un po' rauca e una vaga aria da Vispa Teresa. Non la conosceva bene; diciamo che gli era genericamente simpatica.
Dunque spensero la luce, si dettero la buonanotte e tentarono di dormire; ma lui aveva la testa piena di pensieri. In fondo non era veramente stupito dell'epilogo della faccenda con Luciana (perché di un epilogo si trattava: era l'ultima sera che passava là). Riconosceva con una certa amarezza di non avere la presenza di spirito per risolvere con un colpo di mano situazioni complicate, soprattutto in materia di donne. Con gli anni aveva sviluppato un certo distacco, una certa svogliatezza che lo aiutava a non soffrire troppo nelle fasi del corteggiamento, ma spesso lo spingeva anche a rinunciare alle prime difficoltà. E poi si considerava un pedissequo, uno schiavo del senso di realtà. “E' per questo - si diceva con una buona dose di autocommiserazione - che fino dalle superiori ho collezionato occasioni mancate e rimpianti.” Così anche Luciana sarebbe diventata un altro ricordo buono giusto per farsi le seghe. Ora sprofondava in quel letto con le molle scassate, andato in bianco in una situazione in cui chiunque altro non avrebbe mancato il colpo, in un posto dove non voleva più essere ma con troppo senso del ridicolo per andarsene a dormire a casa sua, al caldo.
Dal fondo della stanza di quando in quando si sentivano scricchiolii e scatti metallici con tanto di eco vibrato: doveva essere il corpaccione di Rolando che si rigirava inquieto sul divano. Accanto a lui la presenza femminile di Viola. Nella quasi totale oscurità intuiva la nuvola dei suoi capelli. Era sveglia anche lei. Non sa dire come, ma attaccarono discorso.
Parlavano fitto fitto, sottovoce, e tutte le volte che sentivano muoversi Rolando si interrompevano ricominciando con un tono più basso. Parlavano di niente, in effetti, ma con molto piacere. Si erano via via avvicinati con la testa per poter sussurrare ancora più piano e ora Viola gli stava molto simpatica. Erano proprio carine le cose che diceva, e intelligenti. E poi, si sarà capito, gli pareva che ci stesse. Ormai aveva la testa nei suoi infiniti capelli; ne sentiva l'odore leggero, vivente. Uno di quegli odori che accompagnano l'intimità. Erano pervasi da una evidente euforia, alimentata dai limiti della situazione, dal non poter mantenere una distanza conveniente, dal non poter tacere pena la perdita del contatto, dal non vedersi. Fasciati come mummie, tutta la loro libertà era concentrata nella testa. Così, alla fine, allungò appena il collo e la baciò. E lei gli rese il bacio. Finalmente tacevano: il contatto non si perdeva più di sicuro.
Si baciarono parecchio quella notte, tutta quella notte, fino all'alba. Si ricorda baci vogliosi e linguacciuti e baci delicati, inframmezzati da altre parole. Ora parlavano di loro, di quando si erano conosciuti, di quella strana situazione e dello stupore di entrambi. A un certo punto avevano anche tirato fuori un po' di mani dai sacchi a pelo. Lui dice che tentò una manovra disperata per accarezzarla sulla pelle. Riuscì persino a insinuare il braccio tra la biancheria molto stretta, forse un body, e il seno, poi sul culo che Viola aveva assai sodo. In effetti ci fu poco di sensuale in quell'esercizio di contorsionismo, ma lui era curioso e poi, si giustifica, gli pareva che andasse anche a lei. L'importante - dice - è mantenere il senso dell'umorismo e Viola ne era fortunatamente dotata. Quando il rettangolo della finestra cominciò a delinearsi e la luce illuminò pallidamente la stanza, si sentirono appagati, e si addormentarono.
Insomma non scoparono, ma lui dice che la mattina dopo era lo stesso contento come una pasqua. Dice, in modo un po’ confuso, che le emozioni furono del tutto aderenti alla situazione, che fu preso totalmente dagli eventi senza sentire il bisogno di indossare maschere e che questa è una cosa veramente preziosa. Mah… sarà la storia della volpe e l’uva?



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