Memoria spedita da/Memory sent by:
Carlo.Giabbanelli
il 6.5.2007




Chiunque può scrivere le sue memorie su Connected Memories _ Connected Memories è un tentativo di interpretare esteticamente le nostre memorie e la memoria in generale.
Nota: i testi che si inseriscono possono essere corretti, ma non cancellati

English

Anyone can write their own memories on Connected_Memories. Connected_ Memories is an attempt to aesthetically interpret our memories and memory in general.
Note: the inserted texts can be corrected, but not cancelled

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riferimento temporale/time reference : 1967 (?)


tu chiamale se vuoi rimozioni

Non mi è successo spesso di avere rimozioni serie, veri blocchi di memoria, di quelli che ti danno gusto quando li scopri. Di solito sono sciocchezze: nomi che spariscono (sempre più spesso), impegni saltati, roba persa in casa. Tutte faccende che si possono benissimo attribuire alla rarefazione dei neuroni.
Ma una volta ho avuto un flash, un’illuminazione improvvisa su un ricordo completamente sepolto, escisso chirurgicamente dalla memoria: mi sono ricordato di aver avuto un cane, quando ero ragazzo.
Io ho paura dei cani; da bambino era panico, terrore cieco che mi paralizzava o mi spingeva a correre, ovviamente inseguito dalle bestiacce latranti. Dice che sentivano “l’odore della paura”. Era per questo che tutti i cani che incontravo finivano invariabilmente per abbaiarmi contro. Io avevo paura e loro lo sentivano. Certo avrebbero potuto farsi i cazzi loro, ma no: è nella natura del cane aggredire chi è impaurito. Un comportamento molto umano, devo dire.
Non mi ricordo se sono mai stato morso. Una volta, durante una pazza fuga, scivolai sul brecciolino e il cane demente di un mio amico riuscì a graffiarmi la schiena prima che me lo togliessero di dosso.

Insomma ero al mare con mia madre, a Marina di Grosseto. Avevamo una casetta di legno, là, e mi pare che fossimo andati fuori stagione. C’era una veranda sotto la quale lasciavamo anche la notte un tavolino, due sedie e una poltrona di legno e paglia. Una mattina trovammo, raggomitolato sulla poltrona, un buffo bastardino bianco e nero, dal pelo corto. Aveva il muso affilato e gli occhioni languidi, tremolava e guaiva ruffiano. La mamma ci prese confidenza subito, con quei suoi modi entusiasti e un po’ superficiali. Io invece ero piuttosto perplesso, visti i miei trascorsi coi cani.
La bestiola aveva un collarino, così la mamma chiese un po’ in giro ai vicini, ma nessuno ne sapeva niente e nessuno lo venne a reclamare. Decidemmo di tenerlo; dovevamo dargli un nome. Eravamo a Marina e lo chiamammo Marino.
Per me fu un’esperienza pressoché inedita: avevo avuto solo gatti, fino ad allora, e di un cane anche il pelo ispido mi sembrava strano, per non parlare della goffaggine, del naso umido e delle grosse unghie rumorose. Marino però era così mansueto e tenero che mi ci affezionai alla svelta e ne feci il mio compagno di giochi. Tornammo a casa e ce lo portammo con noi, nella nostra 500 verdolina stracarica come sempre.
Avevo un cane! Nella mia breve vita era una vera novità e sentivo confusamente che forse avrebbe introdotto nuove abitudini. Già mi sentivo diverso. Il rapporto con un gatto è un fatto privato, domestico. Possedere un cane induce alla socialità e all'avventura; te lo porti dietro, ci giochi con gli amici, gli fai conoscere altri cani e ci vai al giro a fare esplorazioni. I miei cugini, mitici riferimenti della mia infanzia, avevano la Ruby, una rumorosa pointer che rideva e sgranocchiava al volo le cicale che catturavamo per lei sugli alberi. Ora io avevo Marino. Ripensandoci mi viene quasi da credere che Marino avrebbe potuto cambiare la mia vita in modo significativo.

Il babbo non fu per niente contento della novità e il povero Marino finì per diventare un altro elemento di tensione nella Guerra Fredda che si combatteva in casa mia. Forse a difesa dei suoi spazi e delle sue prerogative insidiate dall’invadenza di mia madre, il babbo non lo voleva né in casa né nell’orto e allora decidemmo di tenerlo chiuso al piano di sopra, nell’attesa che l’atmosfera si rasserenasse un po’. Però Marino sconvolse la nostra strategia; ci prese in contropiede e si ammalò subito, o forse era già ammalato quando era stato abbandonato. Cominciò a non mangiare, a vomitare, a spargere diarrea ovunque. Quando tornavo da scuola correvo a vedere come stava, ma in capo a pochi giorni morì e io ne fui disperato.
Non mi ricordo cosa ne facemmo. Forse il babbo lo portò al bidone della spazzatura in fondo alla strada o forse lo seppellì da qualche parte. Nella mia memoria è rimasto come incastonato, privo di alone negli eventi successivi. Nello stesso modo in cui era comparso inatteso nella mia vita, così Marino sparì, senza lasciare traccia che non fosse il dolore della perdita; e, come spesso si fa, per eliminare il dolore eliminai anche il ricordo.



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