Memoria spedita da/Memory sent by:
Carlo.Giabbanelli
il 5.2.2018



memory padre/father
Carnera



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riferimento temporale/time reference : estate 2017


L'esperimento

La bocca era aperta, deformata, una guancia rigonfia e slabbrata innaturalmente dalla parte che non appoggiava, come se da lì uscisse un potente soffio di aria. Le zanne bene in vista conferivano al muso un’espressione angosciata e feroce, di pura sofferenza. Un occhio rinsecchito e grigiastro usciva dall’orbita sinistra. Anche la pelle, tirata sulle ossa, aveva un colore inquietante, rosso cupo; sembrava quasi congestionata.
La povera bestiola, nonostante fosse allungata sul fianco sinistro, non dava proprio l’idea della pace che segue la morte. Anzi sembrava che ululasse all’eternità la sua agonia.

Il babbo, quando aveva deciso di adagiare le spoglie di quel gatto grigio su una trave del magazzino che chiamavamo Stanzone, invece di seppellirlo o buttarlo nell’immondizia, voleva ripetere il piccolo miracolo che era avvenuto spontaneamente con Carnera.
Anche Carnera, negli anni ’30, era stato un gatto grigio ed aveva lasciato di sé una elegante mummia color cartapecora, perfettamente acciambellata, tarlata come un vecchio mobile. I resti di un trapasso tranquillo avvenuto probabilmente nel sonno, senza spasimi, nella sua cuccia segreta in soffitta. Era talmente poco orribile che il babbo e la mamma gli costruirono una teca di vetro e poi la misero in salotto. Lì, su un cuscino di raso bianco, Carnera riposa ormai da più di quarant’anni fra ninnoli e merletti.

Come dice Shakespeare, a una certa età un pensiero su tre è per la tomba. Forse il babbo, quando mise il nuovo gatto grigio a mummificare, stava a suo modo rimuginando su questo. In fin dei conti una mummia è una vittoria sul tempo. Un qualcosa di immortale, perché già morto, che mantiene la sua forma e non cambia attraverso i decenni come invece succede a noi (ancora) vivi. Una specie di ponte fra esseri viventi e oggetti inanimati, fra vita e non vita. Ma è pure un’immagine concreta della morte, di cosa attende quel corpo che siamo stati noi. Forse ricreare volontariamente una spoglia serena come quella di Carnera poteva essere un modo per rendere la morte meno spaventosa, vederla davvero come un eterno riposo.

Ogni tanto il babbo saliva sullo scalandrino per controllare gli sviluppi di questa nuova mummificazione ma non ci riferì mai come stesse andando, né noi lo chiedevamo, un po’ sconcertati. Faceva parte dei suoi assidui e misteriosi microtraffici da pensionato. Ora che ci penso mi viene il dubbio che il babbo avesse tentato una mummificazione col sale, e questo forse spiegherebbe il colore della pelle. Una specie di prosciutto di gatto, insomma. Immagino però che avesse rilevato ben presto la differente piega presa dalla faccenda, eppure proseguì l’esperimento. Il povero gatto, col suo ghigno sgangherato e il suo colore diabolico, rimase lì a mezz’aria appoggiato su un cartone. Da terra non si vedeva, ma tutte le volte che ci passavo sotto non potevo fare a meno di pensarci. Chissà com’era? Aveva ancora la pelliccia? Magari invece erano rimaste solo le ossa. Magari il babbo alla fine lo aveva buttato via senza dircelo.
Da qualche anno i miei non ci sono più, così mi sono deciso a dare un’occhiata. Ho legato uno specchietto retrovisore ad un manico di scopa e l’ho spinto su fra le ragnatele. C’era davvero. Non ho colto i dettagli, ma il colore mi è bastato: dovevo sbarazzarmene.

E’ passato ancora un po’ di tempo; piano piano abbiamo cominciato a sgombrare quel magazzino strapieno di cianfrusaglie ammucchiate durante la lunga senilità dei miei genitori. Infine siamo arrivati al dunque, abbiamo tirato giù la mummia costatando che non era per niente piacevole da vedere. Così è finita direttamente nel saccone dell’immondizia, senza rimpianti. Anzi, sarà autosuggestione, ma ho sentito come se il dolore congelato in quel povero corpicino gravasse tutt’intorno sulle cose, sulla casa, e le congelasse anch’esse in una specie di maledizione.
Forse, con la sua scomparsa definitiva, il gatto maledetto ha finalmente assolto un suo ruolo positivo: forse ha portato con sé dolore e immobilità seguiti alla morte dei miei genitori. E così sia.



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